Storia del gatto
Da oltre quattromila anni vivono con noi, li ospitiamo nelle nostre case, trascorriamo ore intere in loro compagnia.
Eppure a dispetto di questa lunga frequentazione molte persone continuano a considerare i gatti creature insensibili e solitarie che si limitano a tollerare la presenza dell’uomo.
Genericamente messi all’opposto del cane (forse solo per diversità di comportamento), i gatti suggestionano e affascinano come pochi altri animali. Anche per questo scienziati, etologi e addirittura psicoanalisti hanno esplorato il loro mondo nel tentativo di comprenderne le mille sfaccettature.
Oggi, quando pensiamo ai gatti, ci viene subito in mente un sonnacchioso inquilino a quattro zampe impegnato a ronfare sulla miglior poltrona di casa o al randagio, magro e guardingo nascosto tra gli edifici urbani.
In passato il felino ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà occidentale
Il rapporto con il gatto è stato uno dei più importanti tra quelli che coinvolgono l’uomo e gli animali addomesticati. In passato questa relazione aveva risvolti diversi, ma senz’altro significativi.
In silenzio, in segreto e spesso di notte, l’antica guerra tra il gatto ed i roditori è continuata nel corso delle epoche. I piccoli felini rappresentavano un bastione di difesa contro i topi (principali divoratori delle stesse scorte alimentari umane) e contro le circa 35 malattie pericolose di cui sono portatori (tra cui il tifo e la peste bubbonica).
Nel corso del tempo il loro ruolo di antagonisti delle malattie e della fame è stato in larga misura sostituito dalla medicina moderna, dalle strutture sanitarie pubbliche e dalla rivoluzione industriale nello stoccaggio e conservazione delle riserve alimentari.
Nonostante il passare del tempo i gatti non hanno però perso questa determinazione vitale alla caccia: da studi recenti risulta che i ben nutriti gatti di casa uccidono annualmente in media 14 piccoli animali (tra cui lucertole, insetti o piccoli volatili). I gatti selvatici, che devono cavarsela da soli, ne uccidono annualmente circa 1.100.
Ogni aspetto del gatto è delineato per un efficiente comportamento predatorio. Il sistema sensoriale è sintonizzato per ricevere tracce olfattive, sonore e visuali e l’anatomia felina è calibrata perfettamente per cacciare, catturare e riportare la preda. E ancora oggi sono minime le differenze anatomiche tra i gatti attuali e le oltre 100.000 mummie feline egizie riportate alla luce nella città egizia di Tell Bastah.
In un contesto naturale, i gatti spendono cacciando dalle 6 alle 8 ore in un giorno. Possono portare a compimento attacchi predatori in ragione di 100-150 al giorno ma mediamente solo il 10% con successo.
Le incursioni di caccia prevedono piccoli dispendi di energia e questa dinamica dovrebbe essere compensata da piccoli ma frequenti pasti durante il giorno. La scarsa percentuale di successi nei risultati della caccia resta però preponderante e non rappresenta un deterrente ad ulteriori tentativi successivi al primo fallimento. Quindi persino un gatto ben nutrito continuerà ad avere il desiderio di cacciare esattamente come i suoi antenati di 4000 anni fa.
Inoltre, a differenza dei cani che sono cacciatori co-operativi che lavorano insieme per catturare prede di grandi dimensioni e poi consumano la preda nel contesto del gruppo sociale, nel mondo felino cacciare e cibarsi sono da sempre attività solitarie e quando arriva il momento del test finale di sopravvivenza – ossia l’acquisizione del nutrimento – il gatto è da solo.
L’indipendenza e la “solitudine” del gatto sono il fondamento del suo stile di caccia
Nel momento in cui la nostra piccola tigre trova però una mano umana discreta che riempe periodicamente la ciotola e garantisce nutrimento continuo (oltre che spontanea protezione), la “solitudine” viene interrotta per i percepibili benefici della prossimità umana.
Va sfatato quindi il luogo comune che vorrebbe il nostro micio capace di vivere lunghi periodi da solo
Decine di anni di interazione positiva con l’uomo hanno sollecitato l’intelligenza spontanea del gatto e questa evoluzione ha comunque mantenuto parallele la presenza degli istinti primordiali (caccia e appostamenti) e l’orientamento alla convivenza umana (molto simile all’accudimento di mamma-gatta).
Dice Giorgio Celli (etologo e gattofilo) che
anche i gatti come i cani, soffrono per l’assenza del padrone che lo nutre e lo coccola. Come tutti gli esseri viventi soffre e resta disorientato dall’abbandono perché ha costruito con l’uomo una relazione molto profonda. Per rendersene conto basta assistere allo strazio dei gatti ospitati nei ricoveri: quando passa una persona allungano le zampe fra le sbarre per attirare l’attenzione. Proprio come i cani.
Qualche tempo fa è stata riportata al gattile una micina bianca-nera di nome Lila. Ci è stata restituita a qualche mese dall’affido per impossibilità contrattuali a tenere animali nella nuova casa dei suoi proprietari.
Nonostante fosse in buone condizioni fisiche, era evidente il suo malessere interiore riconducibile alla separazione, al punto che rifiutava di mangiare e si stava lasciando morire d’inedia.
Ci sono volute molte carezze e sollecitazioni per scuoterla dal suo stato, ma alla fine le volontarie ci sono riuscite, ristabilendo il rapporto di fiducia negli umani.
Ma la complessa e particolare psicologia dei nostri (a)mici non finisce qui…
[SECONDA PARTE]
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MAR