Testo a cura di Donatella

 

 

Il paradiso non sarà tale se non ci saranno i miei gatti ad aspettarmi (epitaffio di una tomba)

 

Recentemente, tornando a casa, ho bloccato l’auto perché Ninì, il micio di una mia vicina di casa, se ne stava pericolosamente acciambellato in mezzo alla strada, peraltro secondaria e non trafficata.
Una volta scesa ho dovuto constatare il suo stato di confusione – segnalato da profondi miagolii di disorientamento – e quello di precarietà fisica in cui versava il gatto ormai giunto alla soglia dei 20 anni di vita.
Una brutta artrosi gli impediva di camminare speditamente e di saltare ma soprattutto ansimava per grave debito respiratorio oltre ad avere un aspetto estremamente consunto.
La proprietaria, che si è precipitata fuori di casa per recuperarlo, mi ha confermato che il micio negli ultimi giorni pareva essere completamente stranito dall’ambiente circostante, era inappetente e con gravi problemi di incontinenza alternati a miagolii grevi di sofferenza. Era dilaniata all’idea di sopprimerlo ma l’indomani il veterinario (in base agli esiti della visita) consigliò di procedere con l’eutanasia.

Qualche tempo dopo in circostanze completamente diverse ho ri-catturato un randagio di colonia già sterilizzato per poter procedere ad una visita che chiarisse il suo evidente e terribile deperimento organico. La diagnosi medica non lasciava scampo, purtroppo. Leucemia in avanzato stato di conclamazione.
E la sua eutanasia a cui ho assistito continua a pesare emotivamente come un macigno.

L’eutanasia spesso arriva come l’ultima pratica possibile oltre che come la liberazione da uno stato di dolore, depressione, paura e forse anche altri sentimenti che noi umani non riusciamo a percepire.
In natura un animale malato si allontana (per quanto possibile in solitudine) e va a cercare la morte nell’unico modo a lui concesso e probabilmente se avesse l’opportunità di una scelta indolore, forse la sceglierebbe.

La decisione di porre fine alla vita del proprio animale da compagnia è dunque un momento straziante, difficile e sentimentalmente doloroso.
L’elaborazione del lutto per la perdita di un animale (che è stato compagno di vita a volte per 20 anni o addirittura di più) può essere a pieno titolo considerata analoga a quella di un amico o una persona cara.

In Associazione siamo soliti affiancarci e sostenere chi, con buona volontà, decide di iniziare la convivenza con un gatto ma ogni tanto ci troviamo anche ad aiutare, non solo moralmente, chi deve dare l’ultimo addio al suo anziano compagno a quattro zampe.

Il coinvolgimento emotivo personale rispetto ad un evento drammatico come la morte impatta ancora, purtroppo, con il luogo comune che spesso ci si sentiamo ripetere dai detrattori del nostro volontariato: “tanto era solo un animale”.

In realtà la continuità di presenza, la vicinanza, l’interazione quotidiana con il quattro-zampe di casa lo collocano di diritto tra i facenti parte a pieno titolo del nucleo degli affetti familiari. Paradossalmente ma realisticamente molto di più di quel lontano parente che magari abbiamo visto solo una volta e di cui non abbiamo più saputo nulla.

Un veterinario mi ha raccontato che una sera ha dovuto praticare un’eutanasia ad un gatto domestico gravemente compromesso di 18 anni, portatogli in ambulatorio dal giovane proprietario 21enne. Sul momento il ragazzo, accompagnato da un amico, banalizzò l’evento e uscì disinteressandosi dell’animale. Qualche ora dopo si ripresentò sulla soglia dell’ambulatorio e piangendo visibilmente scosso chiese se avesse potuto restare qualche tempo a fianco del corpicino esanime. Ammise che, non avendo avuto fratelli, da quando aveva memoria la sua vita era stata affettuosamente accompagnata dalla presenza del felino.

Scatta dunque ancora il tabù rispetto alla manifestazione (che dovrebbe essere invece pienamente legittima) del proprio dolore o disagio per la perdita di un essere vivente compagno di esperienze di cui tante volte si dice “gli manca solo la parola” (poco luogo comune ma molto vero).

Non è necessario essere psicologi per comprendere la possibilità che esista una “empatia affettiva interspecifica” che trova il suo esordio ancora nella nostra età infantile.
Gli psichiatri confermano che gli abusi intenzionali sugli animali perpetrati in maniera ricorrente dai bambini suggeriscono un profilo comportamentale disturbato che – se non curato o contenuto – può condurli a diventare un adulto con gravi disordini mentali (quasi tutti i serial killer conosciuti erano stati da bambini sadici verso i piccoli animali).

Una equilibrata educazione del sentimento e una cultura indirizzate al rispetto dell’altro (sia esso animale non-umano o semplicemente un altro diverso da noi) dovrebbero invece dare sostegno e orientare alla compassione verso esseri viventi sofferenti o svantaggiati.

L’eutanasia viene praticata mediante sedazione anestetica dell’animale cui fa seguito un’iniezione endovenosa contenente il farmaco che induce la morte.
Facile da dire, molto meno da praticare. Non ho ancora incontrato un solo veterinario che – nonostante questa sia una routine medica – affronti questo momento minimizzando o con leggerezza, ma al contrario condividendo il turbamento del proprietario.

A rendere il momento del distacco definitivo un po’ meno solitario dunque può essere anche il veterinario che diventa il tramite “estremo” dell’animale. Uno dei veterinari che collabora con la nostra Associazione mi ha confermato che esistono corsi di formazione per la gestione dell’eutanasia e non solo dal punto di vista del profilo sanitario-medico.
E’ ovviamente di importanza fondamentale capire il quadro clinico complessivo nel quale versa il nostro piccolo compagno, non trascurando una accurata valutazione del suo possibile dolore unito alla sua compromissione fisica irreversibile, patiti dall’animale in funzione della gravità della patologia che lo ha colpito.

Con il passare del tempo anche il turbamento della perdita verrà metabolizzato, soprattutto considerando il “tempo buono” che abbiamo donato al nostro piccolo compagno in modo altruistico, sedimentando – magari – l’idea di offrire un’altra opportunità di aiuto a un nuovo animale.