Testo a cura di Donatella

Alberto, nostro affezionato affidatario di 2 mici, mi chiedeva stupito perché, ogni volta che rientrava dal lavoro, uno dei suoi gatti adulti gli chiedesse insistentemente di bere acqua dal rubinetto salendo sistematicamente sul lavandino. Eppure il micio aveva sempre a disposizione più ciotole piene di acqua nel grande appartamento dove convivono.

Patrizia, che vive con una gatta di circa 10 mesi, viene svegliata ogni mattina con puntualità dalla micia alle 6 del mattino con richieste insistenti di cibo. Dal momento in cui la gattina salta sul letto miagolando sommessamente, l’implorazione sonora continua sino a quando Patrizia si alza e raggiunge la cucina, dove le crocchette sono già nel piattino e restano a disposizione giorno e notte. Ma pare che la giovane micia voglia affrontare “la prima colazione” solo con Patrizia insonnolita e intorpidita, presente con lei in cucina.

Non è un caso che questi riti reiterati nel tempo si manifestino palesemente con apparenti contraddizioni. Cibo e acqua in entrambi i casi erano sempre a disposizione dei gatti. Dunque viene da chiedersi perché l’iter viene ripetuto con precisi schemi di comportamento.

La ritualizzazione messa in atto dai felini in questi casi ha per loro connotazioni fortemente tranquillizzanti. Negli esempi esposti dove la dipendenza per il nutrimento è integralmente canalizzata sul convivente umano, è credibile ipotizzare che il gatto abbia ansia generata dall’istintivo bisogno di alimentarsi, che nello specifico è sempre mediato da mano umana. Un gatto che vive in appartamento deve necessariamente abbandonare il reperimento in autonomia del cibo (tramite caccia) e quindi “riprogrammare” un comportamento atavico e istintuale.

L’ansia viene eliminata e sostituita dalla gratificazione, non appena l’umano procede nuovamente a concretizzare o concedere l’azione di nutrimento.

Non si tratta quindi di bizzarrie o capricci come verrebbe da pensare in maniera antropomorfica, ma di semplice schematizzazione istintuale animale con valenza comunicativa.

Una recente teoria scientifica (ancora molto dibattuta) aggiunge un’ipotesi affascinante a questa comunicazione non verbale. Secondo questi studi nel cervello umano esistono neuroni specchio, ossia cellule neuronali in grado di attivarsi in presenza di atti motori indipendentemente dalla modalità con cui questi sono compiuti (quindi anche attraverso l’osservazione e persino attraverso l’ascolto di un suono). Questa popolazione neuronale sarebbe alla base della capacità di alcune specie superiori di capire le intenzioni altrui. In pratica li si può identificare come il substrato fisiologico dell’empatia e quindi anche della cosiddetta teoria della mente, ossia la capacità di pensare all’altro come essere pensante.

Secondo il modello scientifico sostenuto dalla scoperta dei neuroni specchio, il sistema motorio non sarebbe solo preposto alla semplice esecuzione meccanica di gesti, ma sarebbe in grado di attribuire a questi stessi gesti significati ed emozioni, con implicazioni e sviluppi ancora tutti da scoprire e valutare.
Anche sul fronte delle menti degli animali è sicuramente cambiato qualcosa nel tempo, come ben sottolinea l’etologo Danilo Mainardi in una sua recente dichiarazione: “l’avanzamento delle conoscenze delle capacità intellettive di certi animali, soprattutto di quelli che, essendo domestici, vivono accanto a noi e da noi dipendono, pone problemi nuovi, anche di carattere etico, e ciò indipendentemente dal fatto che siano, come nel caso delle scimmie, nostri parenti genetici. Dobbiamo percepire che, in parallelo e indipendentemente, si sono evolute anche altre menti, diverse ma non meno raffinate e sensibili. È dunque ora che si prenda coscienza che non siamo gli unici animali intelligenti e pensanti di questo nostro ma anche loro Pianeta”.

Confrontando le esperienze dei nostri affidatari alle prese con i loro mici domestici ma anche quelle dei gattari con le colonie feline selvatiche, ho potuto riscontrare che il gatto tende ad essere metodico e ad agire con ripetitività ogni volta che viene data una risposta gratificante e comunque corrispondente alle sue aspettative. Questo comportamento spiegherebbe dunque perché un gatto risulta inaddestrabile a sequenze di comando come invece si potrebbe fare con un cane, addomesticato da millenni con funzioni di asservimento umano, facilitate dall’etogramma dell’animale. Il centro delle sequenze operative di interazione felina con l’umano è invece il gatto con la sua propria logica individuale e le sue necessità estemporanee.

La mia gatta ha un rituale specifico per chiedere di poter salire in grembo. La sequenza attuativa è stata acquisita per esperienza indotta. La prima volta che è saltata inaspettatamente sulle mie ginocchia quando era ancora giovane, sono istintivamente sobbalzata dalla sedia per il gesto inatteso ma non le ho negato comunque qualche coccola. A seguito di quella reazione, la micia ha spontaneamente imparato a precedere il balzo con un tocco leggero di zampa sulle mie gambe. Poi attende qualche secondo la verifica della mia reazione e una volta sicura della totale accettazione, salta in grembo ricambiando le carezze con profonde fusa. Il rituale è democraticamente sempre applicato a tutti i nostri amici, conoscenti e parenti (seduti) che apprezzano questa educata richiesta di conforto. E ancora si stupiscono che non sia stata io ad addestrarla. In realtà la micia punta al risultato, ossia qualche carezza perché la sequenza è

Tocco di zampa (richiesta) –> nessuna reazione –> salto –> coccole (gratificazione)

Queste osservazioni valgono anche per il gatto randagio in colonia dove la ritualizzazione emerge quasi da subito nel rapporto con il gattaro. La sua distribuzione del cibo ad orari precisi e in un punto preciso diventa un utile elemento aggregante di continuità tra lui e i felini.
L’estrema sensibilità felina è continuamente esposta a stress, sia nel micio selvatico alla ricerca di una garanzia di sopravvivenza che in quello domestico immerso nella convivenza con le nostre vite frenetiche e in continuo divenire. Il rituale ripetuto nell’interazione con gli uomini assume per il gatto il duplice aspetto di “educazione felina” del bipede e contemporaneamente mantiene aperto un canale di comunicazione ambivalente codificato e rassicurante.
“Mi hanno detto che l’addomesticamento nel gatto è molto difficile. Nel mio caso non è stato così. Dopo due giorni rispondevo già al suo comando”. Bellissimo aforisma, sintetico quanto veritiero.