Testo a cura di Donatella

 

 

 

Le fusa feline costituiscono una affascinante forma di comunicazione, sul cui significato gli etologi continuano ad interrogarsi scoprendone sempre nuovi significati.

La vibrazione è probabilmente emessa attraverso la contrazione e sollecitazione muscolare del diaframma, della laringe e dell’apparato vocale respiratorio e appartiene sia ai cuccioli che agli adulti. Tutti i gatti fanno le fusa con la stessa frequenza sonora ossia 25 cicli al secondo a prescindere dalla loro età, dalla razza o dal sesso. I gattini appena nati percepiscono a stento i suoni e i loro occhi cominciano ad aprirsi solo dopo 8-10 giorni dalla nascita. Le fusa sono i primi messaggi che la madre-gatta invia ai propri piccoli: la micia inizia a fare le fusa durante il parto e i cuccioli, appena nati, ne avvertono le vibrazioni. Sono proprio le fusa, insieme al calore del corpo materno, a guidarli verso il ventre per la prima poppata.

I cuccioli a loro volta rispondono emettendo istintivamente la medesima vibrazione, molto simile a quella di un motore funzionante al regime minimo dei giri. Quando la gatta percepisce le loro fusa, li rassicura utilizzando lo stesso segnale.

E’ comune per un gatto fare le fusa quando è contento, gratificato e rilassato. Ma potrebbe anche segnalare una situazione completamente diversa, come la paura, il dolore, l’ansia o la frustrazione. Esattamente come un sorriso umano potrebbe esprimere felicità, ma anche nervosismo o incertezza. Nel gatto vanno quindi valutati anche gli altri segnali corporei (movimenti e postura della coda, occhi e orecchie) per poter comprendere il suo reale quadro emotivo del momento.

Secondo alcuni studi clinici è stato accertato che, durante l’emissione delle fusa, vengono rilasciate nel corpo del felino una maggiore quantità di endorfine ossia sostanze che funzionano da analgesici e tranquillanti interamente naturali perchè endogeni. Sono proprio le endorfine (prodotte dall’organismo sulla base di forti stimoli emotivi ricevuti dall’esterno) che vanno a modulare e stabilizzare la sensazione di benessere, con effetti analoghi a quelli indotti dalla morfina e dagli oppiacei. Questo spiegherebbe perchè può capitare che anche un micio in stato di malattia o di trauma (o addirittura in premorienza) continui a fare le fusa, finalizzandone le proprietà indirette e lenitive del dolore.

E quasi per includerci nel suo stato di relax, il nostro piccolo amico felino pare avere poteri taumaturgici anche sull’uomo durante l’emissione delle fusa. In altro studio clinico di osservazione su pazienti con problemi cardiaci legati all’ipertensione sono emersi dati confortanti circa il benefico e positivo influsso sull’abbassamento del livello di pressione arteriosa di questi pazienti, monitorati durante l’accarezzamento prolungato di un gatto impegnato ad emettere fusa.

In un’altra ricerca dell’Università del Minnesota (durata 10 anni e condotta su più di 4.000 persone tra i 30 e i 75 anni) è risultato che la presenza di un felino in casa può concorrere a ridurre di un terzo il rischio di essere colpiti da un attacco di cuore. In qualche modo si valorizza finalmente anche il ruolo benefico del micio di casa, oltre al cane che ci aiuta a tenerci in movimento obbligandoci alla passeggiata comune!

Una versione più olistica dell’interpretrazione delle fusa sottolinea come questo “rumore in bassa frequenza ” emesso dal felino in maniera profonda e ripetitiva assomigli ai mantra tipici delle discipline orientali, ossia la ripetizione di un suono vibrazionale in grado di liberare la mente dai pensieri e portare ad uno stato di “trance temporanea”, tranquillizzante e catartica.

Nel 2009 anche la Dr.ssa Karen McComb dell’Università del Sussex in Inghilterra, specializzata in comunicazione vocale dei mammiferi è arrivata ad una nuova e originale osservazione sul tema. La Dr.ssa McComb ha registrato e dato in ascolto la sequenza vocale prodotta da 10 diversi mici domestici, impegnati nella fase di richiesta del cibo. La risposta alla sollecitazione prodotta dal suono in oggetto – un calibrato mix di fusa e brevi quanto intriganti miagolii – è stata analoga sia in persone che non possedevano gatti che negli affezionati proprietari. Tutti i partecipanti hanno riportato di aver avuto sensazioni simili a quando un neonato piange o si lamenta: istintivamente la risposta emotiva e l’attenzione umana virano verso l’accudimento o l’assolvimento della richiesta di cura.

Anzi, i mici di casa osservati alle prese con i loro rispettivi proprietari enfatizzavano sonoramente ancora di più le loro richieste, consci del potere di attrazione irresistibile esercitato verso i loro conviventi bipedi, soprattutto dove la relazione era univoca ed esclusiva.

Questo comportamento è messo in atto da un impulso fondamentale e incontenibile nei mammiferi, ossia l’impulso epimeletico, cioè la naturale inclinazione a prendersi cura, dei cuccioli per proteggerli e favorirne la crescita. È una delle forme di proiezione di sé nell’altro più arcaiche che si conoscano fra i mammiferi. Gli etologi studiano addirittura le strategie di adattamento evolutivo di alcune specie per stimolare l’epimeleia degli adulti. Nel caso dei gatti, l’efficacia di questo impulso si è rivelata vincente anche con la specie umana, se si considera che nel felino sono già presenti alcuni adattamenti fisici evolutivi come la testa grande, occhi grandi, arti ridotti che rimandano alla neotenia.

Ancora una volta un atteggiamento neotenico attivo da parte del gatto veicola e innesca spontaneamente una risposta umana in grado di soddisfare i bisogni e le aspettative dell’animale.

Alla luce di queste nuove scoperte, viene da chiedersi “chi sta addomesticando chi?”