Testo a cura di Donatella
L’affido di un gatto ad una nuova famiglia è da sempre un momento fondamentale ed estremamente delicato per il lavoro svolto dall’Associazione.
Dobbiamo raccogliere necessariamente il maggior numero di informazioni circa il luogo dove l’animale andrà a collocarsi ma anche, e non meno essenziale, come sarà l’”ambiente” che lo accoglierà (abitudini e organizzazione dei suoi nuovi affidatari).
Abbiamo affidato tanti gatti cercando di abbinare mici (con peculiarità caratteriali specifiche) a persone con stili di vita diversi e variegati, con nuclei familiari composti da single o famiglie numerose, con bambini piccoli o adolescenti turbolenti, facendo domande su domande e venendo tacciati spesso di eccessiva maniacalità informativa.
E nonostante questa nostra prioritaria “vena indagativa” ancora ci scontriamo con l’ingombrante presenza del disagio e del malessere umano, a volte palesemente evidenti altre volte intenzionalmenti nascosti.
Non abbiamo alcuna preclusione o prevenzione rispetto alle persone che si candidano ad essere affidatari, ma dobbiamo necessariamente “tutelare” l’animale (e indirettamente gli sforzi fatti per salvarlo) evitando di considerarlo un “bene di consumo” e di oggettivizzarlo in maniera inappropriata.
Qualche mese fa si è presentato da noi un anziano signore con una giovane gattina nera in un trasportino. Non più tardi di un mese prima una neo-coppia di sposi aveva adottato proprio quella stessa micia. Il signore (padre della sposa) ce l’aveva riportata perché ha ammesso che i ragazzi stavano già divorziando e ci ha spiegato – in maniera sconcertante – che l’animale era stato introdotto intenzionalmente, ma a nostra insaputa, per essere usato come mediatore involontario nei continui litigi della coppia. Non avendo funzionato, la gatta ci è stata restituita come un pacco.
In un’altra occasione abbiamo avuto restituito un gattino il giorno dopo l’affido perché “le sue feci puzzano insopportabilmente”… La frase è stata pronunciata lapidariamente da una madre di famiglia venuta a riportarlo con i figli, uno di 12 anni (in lacrime e assolutamente disorientato per la decisione irremovibile della madre) e una bambina di 6 (che presumiamo essere stati entrambi a loro tempo neonati e con tutte le necessità del caso …)
Silvestro, pacioso gatto tranquillo adulto FIV positivo, ci fu restituito dopo l’affido perché ritenuto causa scatenante di marcature urinarie inadeguate degli altri 3 gatti di una grande casa.
Era però nel frattempo stato deungulato (come gli altri 3, purtroppo) perché “i divani e i tappeti di casa sono di valore e molto più importanti” …
Questi episodi parossistici si commentano tristemente da soli.
L’animale non può e non deve essere considerato alla stregua di un “agente terapeutico” né essere il catalizzatore del disagio psichico cui ognuno di noi è sottoposto nel corso della sua vita. Categoria indifesa e senza parola (esattamente come i bambini) l’animale finisce con lo scontare, quasi per compensazione e osmosi, le manie, le ossessioni e i malesseri psicologici dell’uomo. Ancora di più se, gatto o cane che sia, viene coercizzato alla difficile convivenza con un clima familiare teso e perfezionista o per contro indifferente e disinteressato, ma in ogni caso non equilibrato e sereno.
Drammatica evidenza di questo concetto sono le colonie feline, bersaglio infinito di assurde angherie umane: dai botti ai fuochi appiccati sui gatti dai bulletti di quartiere fino ai calci sferrati da automobilisti cultori maniacali della vettura, passando attraverso la mutilazione gratuita inflitta direttamente al gatto amputandogli coda e/o orecchie (Fiona e Cleopatra ne sono un triste esempio).
Un bell’articolo di Laura Torriani (veterinaria professionista dell’Associazione Avemus) pubblicato dal Corriere della Sera.it sottolinea quanto sia fragile l’animo con cui ci si predispone all’adozione del cucciolo, salvo poi accorgersi che non può risolvere molti problemi umani e terminata l’euforia del momento dell’affido lo si lasci “perdere” nel senso più ampio e letterale del termine.
La veterinaria arriva addirittura a sostenere che molti degli animali abbandonati siano il risultato di questa mancata aderenza alle “aspettative” umane da parte dell’animale.
Una felice e lunga convivenza con il pet di casa deve necessariamente tradursi nel rispetto e nella comprensione di un diverso essere vivo e “senziente”. Obiettivo forse quasi impossibile viste le difficoltà oggettive già nel trovare un proprio equilibrio personale, continuamente minato dallo stress quotidiano e dalle tensioni conflittuali che caratterizzano la nostra società.
In questi casi, nostro malgrado, ci sentiamo di consigliare l’acquisto di un animale di peluche…